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ORIENTARE AL DISCERNIMENTO: LA RELAZIONE EDUCATIVA NELLA SOCIETÀ IPERCONNESSA

Estratti da: Ypergeneration

lunedì 2 gennaio 2023, di Marcello De Vita

Quelli che seguono sono ampi estratti dal mio articolo:
"Orientare al discernimento: la relazione educativa nella società iperconnessa" in Yper-generation: Sguardi obliqui sui processi educativi nella società iper-connessa del 2021

L’avvento della società iperconnessa: un cambiamento profondo

Nel 2010, nasceva l’iPad, il dispositivo della Apple che introdusse il tablet nel mercato di massa. Gli smartphone che accompagnano la maggior parte di noi, con i loro sei pollici abbondanti di diagonale sono più vicini a un tablet che non al primo iPhone, uscito nel 2007, che aveva uno schermo di soli tre pollici e mezzo. Il primo iPad non aveva neanche la telecamera, introdotta solo nel modello successivo, uscito esattamente dieci anni fa. Voglio ricordare questi eventi per due motivi. Il primo è per sottolineare la velocità vertiginosa del cambiamento delle nostre vite e della società: i tablet sono ormai device quasi desueti, ma nella percezione comune lo smartphone appare come un oggetto che ha sempre fatto parte della nostra vita e di cui non possiamo e sappiamo più fare a meno. Eppure una manciata di anni fa questi oggetti non esistevano.

L’altro aspetto per cui voglio ricordare quei lontani eventi è quello legato alla scelta dei marchi operata dalla Apple. iPhone e iPad: La persona, il soggetto è al centro dell’azione, ed è sottolineato dall’accento nella dizione: IO telefono, IO prendo appunti (pad è inteso come taccuino o blocco note). Anche il nome di YouTube nasce probabilmente con la stessa idea: TU fai la tv (le vecchie tv usavano il tubo catodico e nel linguaggio gergale anglosassone erano dette tube). E in questo fare tv, probabilmente l’idea era che tu fossi dietro la telecamera a riprendere. Per l’evoluzione che ha avuto la nota piattaforma, appare evidente che il soggetto indicato dal ‘tu’ è ormai davanti alla telecamera e non dietro; sì, è vero, le webcam permettono di riprendere se stessi, ed essere contemporaneamente davanti e dietro la telecamera. Ma a me adesso YouTube fa pensare che tu sei nella tv, come in un antico racconto di Rodari “Gip nel televisore”, [1] in cui un bambino che vedeva troppa tv ne veniva risucchiato, perdendo la sua individualità e divenendo personaggio di uno spettacolo ideato da altri e altrove, come prevede la società dello spettacolo [2]. Questa digressione sui nomi del device e della piattaforma web più note al mondo indica la direzione in cui si sta evolvendo la società iperconnessa. Internet, i device digitali, le piattaforme virtuali, ideate e pensate per dare alle persone strumenti per moltiplicare le possibilità e le capacità, stanno trasformando le persone in strumenti utilizzati dalle piattaforme della rete.

Approfondiamo.

Il termine iperconnettività è stato introdotto in sociologia da due studiosi canadesi [3] nel 2001, quando ancora le piattaforme social erano in gestazione; si riferiva alla moltiplicazione dei mezzi di comunicazione elettronici tra persone, esplosa poi negli anni successivi. Ma oggi non denota solo i molteplici canali di comunicazione tra umani, macchine e software, ma ha assunto una accezione ancor più pregnante, in quanto la nostra vita cognitiva, emozionale e corporea si riferisce sempre più spesso a esperienze mediate dal web.

Il nostro cervello sempre più spesso rilascia neurotrasmettitori in reazione a quanto accade nei nostri device digitali, ai quali per ora si connette principalmente, ma non esclusivamente, attraverso i cinque sensi; si stanno già progettando e diffondendo, infatti, sensori capaci di reagire a espressioni facciali, gradienti di temperatura, elettroencefalogrammi.

Ad esempio la Reality Labs è una azienda di Facebook che si occupa di interfacce neurali. Uno dei progetti [4], già in stato avanzato di realizzazione. è di rilevare l’attività cerebrale attraverso dei sensori, in modo da permettere di digitare un testo, semplicemente pensando la frase che si vuole scrivere.

La rete come mente

Viceversa è anche la rete che si connette a noi, al nostro cervello, alle nostre vite, impara da esse, impara a interagirvi, impara a influenzarle. Lo smartphone è connesso alla rete, e i provider e le app comunicano costantemente i dati rilevati dai suoi sensori. Quando usiamo l’assistente vocale, il microfono è sempre in ascolto, e

algoritmi di intelligenza artificiale analizzano l’audio che ricevono e ne estraggono informazioni. Le polizie nazionali, in teoria in presenza di mandati giudiziari e secondo determinate norme, possono accedere a microfoni e webcam dei nostri device in ogni momento senza che noi ne siamo consapevoli.

E possono farlo anche le organizzazioni criminali.

Edward Snowden vive tuttora in esilio in Russia, dopo aver svelato al mondo nel 2013 che la NSA [5] statunitense è in grado di registrare, e registra, tutte le comunicazioni digitali del pianeta, e di analizzarle per estrarne informazioni di ogni sorta. Per questo si parla sempre più spesso di capitalismo della sorveglianza [6].

[...]

La registrazione attraverso la rete e i device digitali di tutti i nostri comportamenti, ciò a cui ci si riferisce come Big Data, e l’utilizzo massivo degli algoritmi di “intelligenza artificiale”, ad esempio quelli di apprendimento profondo, ad essi applicati, fa sì che la rete ci conosca meglio di noi stessi: algoritmi che girano su reti di processori dispersi geograficamente conoscono i nostri gusti, le nostre preferenze, le nostre abitudini, i nostri spostamenti quotidiani, i nostri problemi di salute, le nostre opinioni politiche, il nostro partner ideale e i nostri gusti musicali. Tali algoritmi sono in grado di registrare correlazioni, difficilmente rilevabili altrimenti, sicchè è possibile predire l’orientamento politico tramite il riconoscimento facciale [7], con percentuali di successo (72%) che sembrano la vendetta dei frenologi, gli pseudoscienziati che a fine ottocento cercavano di stabilire le tendenze criminali, e altri aspetti del carattere, basandosi sulla forma del cranio degli individui.

Ma questi algoritmi studiano anche come reagiamo a differenti sollecitazioni. Per ciascuno di noi sanno quale sollecitazione produce certe emozioni (e relativo rilascio di ormoni e neurotrasmettitori), a quali sollecitazioni reagiamo positivamente e a quali negativamente [8]. Avete visto quanto è brava Youtube a darvi consigli musicali? E Amazon?

Sarebbe già possibile, e certamente alcuni ricercatori hanno già sperimentato in tal senso, creare dei chatbot che ci clonino in una conversazione, cioè che simulino così bene il nostro modo di parlare e i nostri gusti, che difficilmente un nostro amico potrebbe accorgersi che non sta conversando con noi, ma con un programma.

E se per le aziende lo scopo è massimizzare i profitti, creando e vendendo prodotti e servizi tagliati su misura per noi, altre organizzazioni, come partiti politici, governi autoritari, nazioni nemiche sono più interessati a influenzare i nostri comportamenti.

Siamo addestrati esattamente come i cani di Pavlov attraverso le piccole gratificazioni che i feedback sui social ci somministrano. Attraverso lo stesso meccanismo di rinforzi positivi e negativi subliminali, si utilizzano le nostre inclinazioni e credenze rafforzandole, per orientarci in direzioni desiderate.

È così che si stanno polarizzando opinioni politiche e posizioni culturali in tutto il mondo.

[...]

La rete e i device digitali non costituiscono più un’estensione del nostro corpo e dei nostri sensi (come tutta la narrativa cyborg e la retorica tecnologicista pretendevano); piuttosto

siamo noi che diventiamo periferiche, interfacce sensoriali, elementi di calcolo, che permettono alla rete, o più precisamente agli algoritmi che ne utilizzano i dati, di conoscere attraverso di noi come vivono e come si comportano le aggregazioni umane, e di sfruttare questa conoscenza per i fini delle organizzazioni che li creano e/o li utilizzano.

Il Soggetto che pensa percepisce e agisce non è più l’umano che usa la rete ma la Rete stessa, di cui l’umano è solo un sensore, un organo di senso, esattamente come le cellule della pelle lo sono per il corpo umano. È la Rete, assurta a mente batesoniana [9], che percepisce, studia, conosce, influenza l’umanità.

Dobbiamo quindi attribuire al termine di iperconnessione un significato che va oltre il semplice fatto di essere connessi alla rete internet. In maniera per noi del tutto inconsapevole, gli stimoli che arrivano dalla rete attivano i nostri neurotrasmettitori e le nostre sinapsi, scatenano rilasci di ormoni, e guidano i nostri comportamenti, come nel film Matrix [10].

Bisogna restituire la rete al suo ruolo e alla sua funzione di strumento al servizio degli individui e della società. Utilizzare questi algoritmi per le loro funzioni, utili in mille settori, ad esempio il supporto al decision making. Evitare che diventino strumenti che usano le persone per generare profitti a scapito del benessere e dell’essenza della persona e della società.

La generazione iperconnessa: una nuova specie in questo altro mondo

Da quando sono state lanciate app che hanno sfruttato la capacità degli smartphone di rimanere costantemente connessi, le persone hanno iniziato a caricare in rete contenuti testuali, e poi multimediali h24. In pratica è come se avessero iniziato a trasmettere in diretta la loro vita all’interno del web.

Le nuove generazioni, i millennial, i nativi digitali, hanno conosciuto internet sin dall’infanzia; dai primissimi anni della loro crescita, l’esperienza del web è integrata alla loro vita, e le loro esperienze sono integrate nel web. Tutto per loro accade come se il mondo in cui vivessero non sia più il mondo concreto e materiale, ma il mondo virtuale dei social, che è contenuto dalla rete. L’agorà, il foro, la Città, il bar sport, insomma il luogo degli accadimenti, delle relazioni, dei discorsi e delle discussioni, degli incontri e degli scontri, del lavoro, della ricchezza, della povertà, dell’amore e dell’amicizia, del benessere e del malessere, è la Rete. È lì che si vive, lì che accadono le cose, lì che si parla, si discute, si litiga, si ama, si lavora, si guadagna, ci si incontra e ci si scontra, ci si afferma o si cade in disgrazia. Le enciclopedie e le biblioteche sono nella rete. La rete è, sempre, la risposta. Ha sempre la risposta, o le risposte. Lì si cercano amici, nemici, competitor, amori e amanti, lavori, affari, datori di lavoro, medici, medicine, idee, attivismo e contestazione, voti e propaganda.

I fatti che accadono fuori dalla rete, in quello che per noi adulti è il mondo concreto e reale, per i nativi accadono e vengono prodotti fuori solo per essere caricati in rete,.

Come nei casi in cui la troupe televisiva costruiva la fake news con scenografie, interviste e personaggi pilotati, i nativi costruiscono eventi perché possano essere rappresentati e caricati nel flusso della rete. Questi eventi sono letteralmente artefatti, fuori della rete non hanno motivo di esistere, I ragazzi e le ragazze fanno esperienze per caricarne foto e video in rete, per condividerli e agirli in rete. Si incontrano per girare video e partecipare a eventi (challenge, contest, virtual party etc.) in rete.

Gli oggetti concreti sono solo strumenti che servono per esistere in rete. I video che vengono caricati in rete sono sempre meno ricordi e memorie di eventi della propria vita, non hanno questa funzione e questo significato. Le riprese che fanno gli adolescenti con i loro smartphone sono azioni fatte per esistere in rete, perchè per loro il web è il luogo dell’esistere.

Il mondo concreto diventa uno studio fotografico, un set cinematografico, trasformato e concepito per creare e trasportare il nostro avatar in rete. O forse è addirittura

il corpo, vestito, truccato, illuminato e atteggiato, a essere l’avatar, fantoccio materiale e impermanente in questo mondo deperibile che permette di portare e rappresentare la nostra reale e vera identità in rete, il nuovo iperuranio platonico. In questo nuovo universo delle Idee i difetti della materia e del carattere possono essere emendati, e l’identità purificata dagli accidenti della manifestazione, può manifestare liberamente la sua essenza.

L’identità è scelta e costruita dallo spirito individuale, realizzata dall’arbitrio, libero finalmente di rappresentarsi al di là della materia in un mondo eterno che non conosce oblio.

Così ragazze e ragazzi cercano nel mondo concreto e in quello virtuale, i pezzi con cui comporre in una sorta di collage o di Frankenstein la loro identità. Dopo una elaborazione durata evidentemente parecchi mesi mia figlia dodicenne ha messo a punto un progetto per diventare youtuber; ha individuato il tema del suo canale: lavoretti vari di bricolage; ma, badate bene, non fa il bricolage perchè è la sua passione, e la vuole condividere in rete. È vero l’inverso, la sua passione sono le youtuber, e ha individuato il bricolage come un tema, una attività che può gestire, che le permette di divenire youtuber.

[...]

Per i nativi digitali il mondo è quello del web, della rete. Internet non è un media, non è un mezzo di comunicazione di massa. Il web è il mondo in cui si svolge la vita tout court. Loro vivono in quel mondo, di quel mondo, per quel mondo.

E a quel mondo si adatta il loro cervello. L’utilizzo e l’esposizione ai supporti digitali fin dalla tenera età producono un fatto nuovo, studiato dalle neuroscienze, ma ancora poco conosciuto a livello mediatico.

La mutazione neurologica

I gesti e le interazioni sensoriali che noi abbiamo con questi strumenti, che coinvolgono il nostro comunicare, lavorare, trovare informazioni, provare piacere e gratificazione, accedere alle informazioni e interagire con una fetta sempre crescente dei vari aspetti della vita, cambiano rispetto ai decenni precedenti, il modo in cui il nostro cervello si struttura e funziona; producono una struttura (hardware) del cervello, e processi mentali (software) drasticamente differenti rispetto a quelli delle generazioni precedenti. Siamo di fronte a una vera e propria mutazione del funzionamento della nostra testa, anche se questa mutazione non avviene a livello genetico ma fenotipico, cioè attraverso l’interazione con l’ambiente. Numerosi sono gli studi neuroscientifici in proposito che attestano come la strutturazione delle connessioni neurali, e l’attivazione delle aree cerebrali dei cosiddetti nativi digitali è differente da quella delle generazioni precedenti [11]. Altrettanti studi analizzano in tutti gli aspetti specifici il differente funzionamento del cervello, nell’interazione con supporti digitali o analogici. Per esempio gli occhi e il cervello funzionano in modo differente se leggiamo la stessa pagina su un libro o su un tablet [12].

[...]

Siamo di fronte a una mutazione neurale strutturale del cervello e dei suoi processi, oltre che alla mutazione sociale e antropologica. Nella testa dei nativi sono codificate tutte le sfumature di gesti per interagire velocemente con i touch screen, che io so a mala pena nominare: tocco, doppio tocco, pressione prolungata, swipe etc. Le emozioni sono espresse attraverso emoji.

Col canale visivo, in un attimo, sono capaci di focalizzare l’attenzione sull’elemento che stanno cercando, all’interno di una schermata web piena zeppa di contenuti, colori, icone in movimento, distrattori pubblicitari sempre più intrusivi e sempre in evoluzione, mentre gli adulti impiegano per la stessa operazione diversi secondi.

La mente dei nativi è allenata e informata in questo modo, accede alle informazioni attraverso rapidi gesti che fanno passare in un attimo da un mondo virtuale e concettuale a un altro. E se lo schermo lagga, se la pagina web tarda solo un secondo o due a caricarsi, se l’immagine del videogioco sgrana i pixel troppo lentamente, quell’intero mondo è cassato in favore di una esperienza più responsive.

Le conseguenze sul tempo medio di attenzione sono drastiche: le ricerche odierne stimano l’ordine di grandezza del tempo di attenzione tra una e quattro decine di secondi [13], mentre vent’anni fa si parlava di tempi tra i venti e quaranta minuti.

Inoltre, è stato studiato che le interazioni attraverso le piattaforme social, non danno solo una dipendenza psicologica, ma concretamente chimica: ogni like ricevuto produce una scarica di dopamina, sicché la persona è letteralmente dopata. L’attesa della gratificazione psicologica e fisiologica delle reazioni del web ai post digitali tiene in ostaggio buona parte delle risorse cognitive.

L’impatto sulle relazioni educative: scontro tra mondi

Per i nativi digitali il mondo di riferimento è quello del web, della rete. Essi percepiscono che così non è per le generazioni precedenti, per gli adulti. Gli adulti ai loro occhi vivono in un altro mondo. Sì, usano internet, usano i mezzi digitali, entrano qualche volta nel mondo del web, vi fanno delle incursioni, vi svolgono delle attività. Ma hanno con il web un rapporto ancora troppo strumentale, secondo loro. Gli serve per fare qualcosa, ma non vivono lì. Per i nativi digitali noi adulti viviamo in un altro mondo e veniamo da un altro mondo. Siamo letteralmente extraterrestri.

Già da qualche decennio vari intellettuali profetizzano l’avvento di una nuova barbarie tecnologica e affibiano alle nuove generazioni il termine di barbari. Si pensi al film “Le invasioni barbariche” [14] del 2003. Nella raccolta di articoli “I barbari” [15] Baricco propone piuttosto il concetto di mutazione, ma anch’egli, come molti altri osservatori, denuncia un cambiamento che va al di là di quello di un normale avvicendamento generazionale.

[...]

C’era il riconoscimento di dover giocare la vita nello stesso campo, e, sebbene alcune regole potevano essere contestate e cambiate, sebbene si potesse decidere di formare le squadre in modo differente, o addirittura di cambiare gioco, il terreno di gioco con le sue leggi materiali era lo stesso. Quello che sembra è che le nuove generazioni non abbiano più questa percezione, e probabilmente in parte è vero: il campo di gioco sarà un altro. Ma la dimensione umana, le leggi della vita, ancora ci accomunano, e quindi c’è ancora qualcosa da indagare assieme apprendendo gli uni dagli altri. E per questo è necessario trovare terreni e canali per mantenere aperta la comunicazione.

[...]

Il ragazzo non pensa più che la sua visione del mondo è incompleta e si dovrà arricchire di nuovi elementi durante la crescita, ma pensa la sua visione attuale come data, statica e immutabile. E nella società si è tornati a sognare e a ritenere a portata di mano, grazie allo sviluppo delle tecnologie, una vita senza vecchiaia, da trascorrere in una eterna giovinezza.

[...]

Eppure in altri tempi e culture ogni età aveva la sua funzione: Marc Twain in “Viaggio in Paradiso” ad esempio irride al sogno di un’eterna giovinezza, e all’immaginare di passare tutta la vita, se non l’eternità, tra gioie e dolori di quella età. Piuttosto, sollecita a riflettere che gli acciacchi del tempo sono accompagnati dalle gioie e la soddisfazione di una maggior maturità e saggezza.

In questa situazione la domanda rituale “cosa vuoi fare da grande” non sembra più rappresentare un esercizio di prefigurazione del proprio futuro, e di esplorazione delle proprie attitudini e talenti, ma diventa solo un gioco fine a se stesso atto a passare un po’ di tempo. Questa incapacità di prefigurare il proprio futuro si manifesta nel disorientamento che i ragazzi e ragazze sempre più diffusamente sperimentano al termine della scuola, e a cui l’istituzione cerca di rispondere con la moltiplicazione di tardive attività di “orientamento in uscita”, al termine della secondaria sia di primo che di secondo grado.
Tardive perché dopo tredici anni passati tra le mura scolastiche, la grande maggioranza non è riuscita a utilizzare quel tempo, e le attività in esse svolte, per conoscere se stessi, i propri talenti e inclinazioni. La maggioranza non è riuscita a comprendere il senso delle discipline studiate a scuola, e di come esse siano collegate alla possibilità di esprimersi nelle attività successive. Così non si sa in che direzione proseguire nel mondo del lavoro o nel prosieguo degli studi. La cesura sempre più profonda avvertita dai giovani tra il mondo in cui crescono e che immaginano, dominato dal web e il mondo concreto dei grandi, ha certamente accentuato il problema.

In questa situazione quali sono le condizioni perché si possa ancora stabilire una relazione educativa? Intanto credo che sia necessario riflettere attentamente su questa distanza profonda tra generazioni, di cui ho provato a abbozzare alcune caratteristiche. Questa distanza implica che è oggi tutt’altro che scontato il ruolo di riferimenti con cui confrontarsi, di educatori, che volenti o nolenti, genitori, insegnanti, e adulti in generale, impersonavano in passato. Più che mai questo ruolo va riconquistato attraverso la capacità di costruire ponti e canali di comunicazione, e attraverso azioni adeguate.
Partendo dal presupposto che è molto affievolita la stessa coscienza della dipendenza dal mondo degli adulti da parte di ragazzi e ragazze, e che essi considerano gli adulti sempre meno necessari; se non come bancomat e distributori automatici di cibo, come rappresentato magistralmente dalla relazione tra padre e figlio nel racconto distopico “Gli sdraiati” di Michele Serra di qualche anno fa.

Inoltre, per trasferire nella nuova era le migliori comprensioni dell’umanità su se stessa, frutto di diecimila anni di storia e che ancora fatichiamo a assimilare, come le conquiste del pensiero, i diritti universali dell’uomo e della donna, il valore della vita umana, della solidarietà, della democrazia, è necessaria una scelta ponderata, e la trasformazione e riarticolazione dei saperi da cui quei valori emergevano nell’era precedente.

«Nella grande corrente, mettere in salvo ciò che ci è caro. È un gesto difficile perché non significa, mai, metterlo in salvo dalla mutazione, ma, sempre, nella mutazione. Perché ciò che si salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perché ridiventasse se stesso in un tempo nuovo.»

[...]

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L’intelligenza emotiva

Se per ricominciare a incontrarci è necessario ‘sporcarsi le mani’ col web e con le tecnologie digitali, lo si faccia, con l’obbiettivo ben presente di far riscoprire il senso e le caratteristiche delle relazioni umane dirette tra individui, e far rivivere le relazioni anche fuori dalla rete. La scuola, come agenzia sociale, detiene la possibilità enorme di ristabilire relazioni (in presenza) soddisfacenti e efficaci tra insegnanti e allievi, che siano capaci di trasferire alle generazioni digitali il senso dell’umano, dell’essere umani, e essere il luogo dove si possa sviluppare l’intelligenza emotiva.

Per inciso, la didattica a distanza può essere uno strumento per affrontare l’emergenza sanitaria di alcuni momenti, ma non va nella direzione che sto delineando. Diversi sondaggi e iniziative segnalano che molti insegnanti sarebbero favorevoli alla diffusione sempre più massiccia della didattica a distanza anche una volta che la pandemia sia stata addomesticata. Credo che questo sia un segnale allarmante di quanto sia diffuso il disagio del corpo docente, subissato da pratiche obsolete, vessatorie e contraddittorie, lasciato a se stesso, in edifici fatiscenti, senza strumenti, materiali e concettuali, adeguati ad affrontare un cambiamento dalla velocità vertiginosa e dalla portata epocale. In queste condizioni è molto difficile per gli insegnanti oggi, instaurare relazioni con le classi che siano significative, soddisfacenti ed efficaci. Abbandonati nella difficoltà, evidentemente molti colleghi immaginano di sottrarsi alla sfida improba rifugiandosi dietro lo schermo del computer.

Piuttosto, nello sforzo di mediazione delineato sopra, mi impegno da anni per integrare la didattica in presenza, certamente da rinnovare e ripensare profondamente, con l’utilizzo di tecnologie digitali e la promozione di attività in rete.

Gli insegnanti possono imparare a utilizzare le tecnologie digitali e orientarsi in quel mondo, perché altrimenti non hanno possibilità di comunicare e entrare in relazione con le generazioni dei nativi digitali, che si limiteranno a ignorarli come esseri che vivono fuori dal (loro) mondo.

E invece gli insegnanti, e tutti gli appartenenti alle generazioni precedenti, hanno molto da dire e da insegnare ai nativi, anche se loro non se ne rendono subito conto.

L’umanità è di fronte all’intrecciarsi di un’insieme di crisi planetarie: il cambiamento climatico, l’emergenza ambientale, l’emergenza alimentare, l’emergenza educativa, il crescere sempre maggiore delle diseguaglianze, la destabilizzazione di intere aree del pianeta, la crescita demografica, e ora la diffusione di sempre più devastanti pandemie. Solo dal patrimonio dei saperi e dalle capacità sviluppate in millenni di storia possono emergere le soluzioni di cui abbiamo bisogno. Solo dalla capacità di orientarsi in questo patrimonio, riconoscendo in ogni parte di esso la costante ricerca del superamento della violenza e della sopraffazione, la ricerca del senso della vita individuale e sociale, la ricerca della comprensione del bene, può nascere la consapevolezza capace di individuare quelle soluzioni. È dunque compito degli insegnanti, come depositari delle procedure necessarie ad apprendere ciascuna disciplina, di far scoprire ai loro allievi il senso più profondo di ciascuna di esse, l’interconnessione, e mi piacerebbe dire la iperconnessione che tra esse esiste, al di là e attraverso le forme che le contingenze storiche hanno prodotto. È nostro il compito di far scoprire ai ragazzi che il web, quel grande parco dei balocchi che appare loro internet, è per ora infestato da Gatti Volpi e Mangiafuoco, e è permeato dalle stesse logiche di profitto che stanno mettendo in scacco l’esistenza stessa dell’umanità sul pianeta.

È necessario insegnare alle nuove generazioni, le logiche con cui funziona il web, gli effetti che può avere sulle nostre menti, e le opportunità straordinarie che d’altra parte rappresenta; fornire loro quelle capacità di osservazione, di consapevolezza, di capacità di discernimento che sono necessarie nel mondo virtuale come in quello reale, che da qualche anno sono state ribattezzate intelligenza emotiva. È sempre più necessario ri-apprendere e insegnare la capacità di lavorare insieme, di trovare terreni di azione comune, la capacità di mediazione e di dialogo, senza ignorare le differenze e gli interessi contrastanti, ma sapendo individuare il terreno e gli obbiettivi comuni. Gli strumenti digitali possono essere un grande strumento di collaborazione e di mediazione, ma allo stesso modo possono essere utilizzati per polarizzare e esasperare le opinioni e i conflitti, come purtroppo è accaduto negli ultimi anni. Nessuna tecnologia potrà mai promuovere l’orientamento: imparare a discriminare ciò che va nella promozione di un mondo migliore è attività prettamente umana.

Le cinque dimensioni dell’intelligenza emotiva,

  1. consapevolezza di sè,
  2. dominio di sè,
  3. motivazione,
  4. empatia,
  5. abilità sociali, che sono alla base delle soft skill di cui si sente sempre più parlare anche nella scuola, non si apprendono con la DAD (didattica a distanza). Si apprendono solo se si è immersi in un contesto di relazioni complesse dirette tra individui, e tra gruppi, e orientate allo sviluppo e alla crescita delle persone. È questa, da sempre, la sfida della parte migliore della scuola, e sempre lo sarà, perché imparare a con-portarsi tra gli altri si impara solo stando assieme; nessuna tecnologia digitale potrà mai esautorare la scuola e gli educatori di questa funzione, ma sia l’istituzione che gli individui che assumono questo ruolo devono esserne consci: l’educazione si basa sulla relazione umana.

[...]

Valori e saperi per il terzo millennio

[...]

«Il problema della comprensione è l’obbiettivo principale che dobbiamo raggiungere, è aiutare gli individui a capire che cosa è vero, che cosa è bello, che cosa è buono. Tutti studiano la fisica nucleare, i dipinti di Raffaello, le opere di Shakespeare, il fascismo. Se si vuole che le persone oltre a studiare capiscano cose di questo genere, c’è una sola cosa che dobbiamo fare. Una cosa molto difficile da accettare perché implica un cambiamento radicale dei modo di gestire le scuole. Deve essere abbandonata l’abitudine di coprire le conoscenze spontanee, implicite, autentiche (anche se sbagliate); dobbiamo smetterla di voler andare avanti comunque.

Se vogliamo toccare tutti gli argomenti, imparare ogni tipo di regola geometrica, studiare tutte le teorie scientifiche, cercare di diventare tutti dei grandi artisti, ricostruire tutti i possibili eventi storici, dobbiamo sapere che la comprensione sarà impossibile. Qualche nostro allievo potrà vincere un quiz alla TV, ma la sua comprensione dei fatti non sarà molto diversa da quella di un bambino di cinque anni.

»

La triade di Gardner contiene l’educazione scientifica (il “vero”), l’educazione di carattere estetico-artistico (il bello) e l’educazione critico-filosofica (il bene). Patrizio Paoletti ha riarticolato il concetto, sostenendo che i saperi di oggi devono essere orientati a produrre una nuova fase, e trasforma questa parola in un acronimo: F.A.S.E. Filosofia Arte Scienza Economia.
Pensiero, arte, scienza e economia in ogni luogo e tempo storicamente determinati, sono profondamente collegati e interconnessi. Eppure, paradossalmente, nonostante l’interdisciplinarietà sia una parola molto usata nelle mura scolastiche, essa entra poco e spesso artificiosamente nella pratica didattica. Una delle ragioni è forse che si ritiene di affrontare le difficoltà presentate dal cambiamento in atto, abbassando l’asticella, ovvero riducendo gli obbiettivi di apprendimento. Un’altra ragione può essere che nella segmentazione didattica dei temi e degli argomenti, rischiamo di perdere noi stessi la visione d’insieme. Credo che approcci come FASE possano aiutarci invece a non perdere questa visione unitaria, a richiamarla a noi stessi, e a permeare ogni azione didattica della sua connaturata dimensione multidisciplinare. FASE può essere una chiave per riorganizzare i saperi e le interconnessioni tra di essi, mantenendo il focus sul senso, sul significato che essi assumono nella vita, individuale e sociale.

«Filosofia, Arte, Scienza ed Economia. Questo percorso è quello dello sviluppo cerebrale, e quindi psico-emotivo, intellettuale, che l’umanità dal suo nascere ad oggi segue. [...] FASE è un circuito. »

[...]

Il terzo millennio è l’epoca della relazione, l’epoca in cui questo concetto, scientificamente inteso, diventa il nucleo unificante di tutti i nostri saperi in ambiti differenti, dalla psicologia alla fisica, dalla geologia alla medicina. Solo questo tipo di sapere profondamente unitario è realmente sostenibile, perché non crea contraddizione, parzialità, squilibrio, ma produce costante novità, continuo arricchimento. “

Come nell’individuo una nuova idea (filosofia), che ci riempie di entusiasmo, vuole essere comunicata, e si trasforma in segno (arte), e nella comunicazione è messa alla prova dei fatti e dei punti di vista altrui (scienza), sino a che nel suo utilizzo, dimostra la sua utilità, la sua capacità di produrre vantaggio per l’individuo e per l’insieme (economia), così la manifestazione di ogni epoca si esprime in queste quattro sfere compenetrate che sono la filosofia, l’arte la scienza e l’economia.

Nella costruzione del Partenone, segno di un’idea di Olimpo, di orizzonte, per la città di Atene, si scoprono alcune leggi della visione umana e della prospettiva, e si scopre la necessità di incurvare le linee del profilo delle colonne. La Divina Commedia è una enciclopedia del pensiero e della storia del tempo, scritta anche a futura memoria. Nell’arte esercitiamo anche la capacità di prefigurare cose che ancora non esistono: Leonardo da Vinci disegna le macchine volanti e i sommergibili che saranno realizzati solo secoli dopo. Nell’Iliade, nelle descrizioni degli automi di bronzo del dio Efesto, troviamo una prefigurazione dei robot. La scienza, nello studio dei fenomeni naturali, disvela sempre di più la connessione tra tutte le cose, cara a tante visioni filosofico religiose, e segnala che solo pensieri capaci di tener conto di queste interconnessioni sono sostenibili. Non è più sostenibile una economia basata sul vantaggio di una parte a discapito dell’insieme. L’attuale situazione chiama un cambio di paradigma, la necessità di ripensarci, ri-educarci con un orientamento alla comprensione dell’interdipendenza.

F.A.S.E. ci connette naturalmente a una visione globale, d’insieme, dei problemi e delle soluzioni. F.A.S.E. è un richiamo diretto alla sfera dei valori, il bene, il bello, il vero, il giusto. È una chiave che permette di riscoprire con semplicità l’unitarietà dei saperi, e sollecita il discernimento, la domanda sulla direzione in cui ogni idea ci spinge. Attraverso questa lente si può inserire ogni conoscenza in una rete che la collega alle altre e ne permette più facilmente la lettura del contributo di senso che essa contiene. Pensare le unità didattiche delle nostre discipline in questa prospettiva restituisce a ogni segmento dei curricoli una profondità e un respiro molto più ampi.

Oltre a rigenerare il corpus delle conoscenze tradizionali, è necessario integrarlo con quello delle nuove conoscenze. All’interno della ecosfera digitale stessa è necessario individuare nodi e costruire reti di riferimenti, che sottolineino i valori. Nella nostra esplorazione della rete come educatori è possibile selezionare, aggregare, e costruire ambienti e attività che siano portatori di significati e valori. Tutti noi ne stiamo esplorando da qualche anno le potenzialità didattiche. Come un tempo attraverso oggetti nel mondo concreto, mettevamo in relazione testi, opere, esperienze che costituissero una mappa per i nostri studenti nell’esplorazione della disciplina, possiamo continuare a farlo all’interno della rete. F.A.S.E. può essere anche in questo compito una lente utile. È necessario perché i

nativi sono già immersi nella rete, ma hanno bisogno di bussole per orientarvisi, di porti sicuri in cui attraccare, di sensibilità per discernere la direzione in cui li portano i differenti “venti” che vi incontrano. E come ieri, è compito degli educatori aiutarli a costruirsi una mappa affidabile, che gli permetta di orientarsi in questo territorio.

La vastità del mondo della rete, la sua ridondanza, la difficoltà, e a volte l’impossibilità a individuare le fonti, fa sì che ci si possa perdere più facilmente e in modo ben più profondo di quanto faccia Alice nel paese delle Meraviglie. Per questo urge fornire a ragazze e ragazzi strumenti che li aiutino a orientarsi.

Possiamo essere mediatori efficaci, che permettano ad alunne e alunni, di percorrere rotte con valenza didattica e pedagogica, e non solo ludica. Sino a che sappiano costruire tali percorsi autonomamente.

Non si tratta solo di cercare risorse che possano veicolare i contenuti dei “vecchi programmi” per così dire. Piuttosto individuare i saperi, strumenti, ambienti, propri del mondo della rete, ma che possano essere pregni di domande di senso, che costituiscano strumenti per comprendere, interpretare, sviluppare e interagire con spirito critico con il mondo della rete stessa. Le reti neurali, gli algoritmi di riconoscimento, le riproduzioni degli stili artistici di pittori e musicisti famosi fatte da algoritmi di intelligenze artificiali, possono essere usati come strumenti straordinari di esplorazione. Ma non bisogna mandare al macero il resto. Invece purtroppo, nelle scuole di tutto il mondo si sta diffondendo una parola d’ordine: STEM; un acronimo che di fatto tende a sancire l’inutilità tout court della formazione umanistica. Il mondo della produzione, sulla base delle previsioni di sviluppo tecnologico, preme perché l’istruzione sforni più sviluppatori, più programmatori, più ingegneri: la parola d’ordine è STEM education (Science, Technology, Engineering and Mathematics). Eppure tutti gli studiosi dell’era iperconnessa insistono sulla necessità dell’integrazione della cultura scientifica e umanistica.

Le attività della STEM, la robotica, i visori di realtà virtuale, il pensiero computazionale, sono strumenti meravigliosi se intesi come ami, come ponti per catturare l’interesse e l’attenzione, e come strumento per disvelare il funzionamento di base delle tecnologie e degli algoritmi.

Ma anche queste attività devono essere orientate da FASE e divenire strumenti di indagine a tutto campo e in tutte le discipline. Il robot, il feticcio principe della STEM education, da quando è stato concepito (e passando almeno per l’uomo macchina di Descartes e l’automa di Turing), porta con sé la domanda più profonda sulla natura umana: in cosa siamo macchine biologiche, cosa ci rende veramente umani? E gli algoritmi di intelligenza artificiale non fanno che rendere ancora più attuale la domanda, che secoli di dissertazioni sul libero arbitrio e sul servo arbitrio hanno indagato. Facciamo i progetti STEM che iniziano a insinuarsi nelle scuole ma coinvolgiamo le discipline umanistiche e non facciamocele scippare.
Anche gli esponenti più illuminati delle multinazionali, come ad esempio Jack Ma Yun, fondatore di Alibaba.com il più grande mercato online del web, sostiene la necessità di educare le giovani generazioni all’arte, alla poesia, alle scienze umanistiche, alla capacità di relazionarsi, di collaborare e di cooperare, perché la dimensione umana sarà sempre più necessaria man mano che la tecnologia diverrà sempre più pervasiva. Più necessari dei tecnici che svilupperanno le tecnologie di domani, saranno necessari cittadini, e modalità di aggregazione sociale, capaci di orientare e governare il mondo sempre più complesso e interconnesso dell’era tecnologica. L’evoluzione e i salti tecnologici richiedono evoluzione e salti di consapevolezza della società.

È necessario diffondere la comprensione che le tecnologie sono, e devono rimanere, strumenti e mezzi, e che i risultati sociali che producono dipendono da come la società è capace di governarli. E questo vale anche a livello individuale: se da una parte le tecnologie, a cominciare dal martello, potenziano le nostre capacità positive e creative, potenziano anche le nostre possibilità di fare e farci del male, di disperdere le nostre risorse interiori e perdere la risorsa delle risorse, il nostro tempo. La capacità di discernere è anche qui questione educativa.

Strutturare le conoscenze

Individuare tra i sapere, tra le rete di concetti, strutture che connettono – per dirlo con Bateson – , ci aiuta a mantenerle connesse a significati, e disponibili per il loro utilizzo. Le nuove ricerche neuroscientifiche sulla struttura del cervello e sul processo di apprendimento, e lo studio delle persone capaci di apprendere efficacemente, sembrano confermare l’idea antica che nella nostra mente le conoscenze si organizzano per reti di concetti suddivise per livelli logici – ancora Bateson – e gerarchici. Marcello Cini ha mostrato come la storia stessa di un campo del sapere, la conoscenza scientifica, possa essere letta come processo evolutivo di una “mente” in senso batesoniano. E, per quanto sia impossibile mostrare altrettanto per l’insieme delle conoscenze umane, non è difficile immaginare che il processo possa essere descritto dalle stesse dinamiche. Se quindi il corpus delle conoscenze è organizzato, e per noi navigabile, attraverso “strutture che connettono”, quante più rotte siamo in grado di tracciare in questo modo, tanto più si può gestire la specializzazione sempre più spinta delle conoscenze senza farsene disorientare.

Ogni filo conduttore che siamo in grado di mettere in campo tra conoscenze e concetti può essere una chiave utile per l’apprendimento. Poco più sopra ad esempio, abbiamo utilizzato i valori come “struttura che connette i saperi”.
Allo stesso modo abbiamo visto che l’acronimo FASE è una chiave di riorganizzazione e riarticolazione dei saperi. Sulla base di tali scoperte, si stanno elaborando metodi di organizzazione dei concetti, modellati sul come la mente organizza le conoscenze.

[...]

Vorrei qui invitare a comprendere il principio su cui si basano tali strumenti, in modo che ciascuno possa creare le sue chiavi, le sue strutture che connettono, adeguate alla propria disciplina, al proprio contesto e agli obbiettivi specifici.

Torno a richiamare l’attenzione sul circuito FASE e la sua struttura: una piccola rete di parole chiave, che è dotata di una direzione, e organizza intere discipline della conoscenza in relazioni organiche. Come tale mostra la capacità di essere utilizzato per studiare nessi in sfere di conoscenza di scala differente. Per suggerire un esempio, si potrebbe applicare alla vita e all’opera di Galileo Galilei, spingendoci a chiedere qual è il nucleo di idee che lo hanno mosso, e che ha sentito l’esigenza di trasferire attraverso opere che sono monumenti letterari, prima ancora che scientifici, fino a considerare la sua condotta nel processo intentatogli dalla Chiesa, alla luce della ricerca della linea di massima penetrazione e minima resistenza.

Penso che l’elaborazione di simili chiavi di lettura, espresse con strumenti semplici, come giochi di parole chiave, o immagini, organizzate anche iconograficamente nello spazio, come nelle mappe mentali, siano uno strumento che è sempre stato presente nella cassetta degli attrezzi dell’insegnante, ma che ora vada rispolverato, e utilizzato a tutto campo.

[...]

Orientare al discernimento

Il concetto che presiede a quanto discusso in questa sezione è quello di orientamento. Gli educatori, gli insegnanti, hanno il compito di restituire ai saperi e alla relazione educativa, attraverso il loro operato, la funzione di orientamento.

Orientarsi significa letteralmente, sia conoscere la propria posizione rispetto ai punti cardinali, sia “indirizzarsi verso”. I punti cardinali sono punti di riferimento condivisi, che ci permettono di comunicare e confrontare la nostra posizione con gli altri. Fuor di metafora dunque, i saperi devono tornare a essere orientati ai valori.

In secondo luogo la relazione educativa deve sollecitare a “indirizzarsi verso” i valori. Promuovere quella sensibilità e quelle domande che permettano di orientarsi.

[...]

Di fronte alla pervasività delle tecnologie, è necessario prendere consapevolezza che “ogni essere umano è un educatore”, in quanto capace con ogni gesto e ogni scelta, di influenzare se stesso e le persone che lo circondano.

Panta rei, tutto scorre, e ogni gesto spinge o nella direzione del disinteresse, del disordine, della confusione, della violenza, o nella direzione dell’armonia, della ricerca delle soluzioni, della collaborazione, della creatività.

Solo la nostra possibilità di inserire tra la sollecitazione e la risposta il grano della comprensione e di interagire con le sollecitazioni, ci permette di sottrarci al comportamento di un robot che si limita a reagire per come è stato programmato.

Possiamo allenare la nostra mente e quella dei giovani, a osservarci e osservare, a divenire consapevoli della possibilità di sottrarci alla prima reazione suscitata in noi dalla sollecitazione. Serve una mente allenata alla attenzione, alla consapevolezza di sé, all’ascoltare la domanda e scegliere tra tutte le risposte possibili la risposta adeguata, la risposta orientata e orientante. E tutto questo è frutto di una buona (nel senso di FASE) educazione. Nessuna tecnologia digitale può sollecitare a apprendere il discernimento e l’orientamento. Ogni persona conta, ogni gesto conta. Non è il momento di abdicare al ruolo di educatori. È il momento di incarnarlo al meglio delle nostre capacità.

Note e Bibliografia

  • [1] Giampiero Binda detto Gip è un bambino teledipendente che un giorno viene risucchiato nel televisore senza poterne uscire, tramutato in un segnale elettronico. Il racconto fu pubblicato per la prima volta nel 1962.
  • [2] G. Debord La Société du Spectacle 1967 Buchet Chastel, Paris 1967, trad. it. di F. Vasarri, P. Salvadori, Commentari sulla società dello spettacolo e La società dello spettacolo, SugarCo, Milano 1990
  • [3] Anabel Quan-Haase e Barry Wellman
  • [4] D.A. Moses, M.K. Leonard, J.G, Makin,.ì et al. Real-time decoding of question-and-answer speech dialogue using human cortical activity. Natu Commun 10, 3096 (2019).
  • [5] National Security Agency
  • [6] S. Zuboff, The age of surveillance capitalism : the fight for a human future at the new frontier of power, PublicAffairs, New York 2018, trad. it. P. Bassotti, Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Luiss, Roma 2019
  • [7] M. Kosinski, Facial recognition technology can expose political orientation from naturalistic facial images, Sci Rep 11, 100 (2021)
  • [8] software capaci di chiacchierare
  • [9] The Social Dilemma, diretto da J. Orlowski (2020, Netflix) in cui personaggi chiave della creazione delle tecnologie di intelligenza artificiale utilizzate dalle principali piattaforme online, ne spiegano il funzionamento e ne delineano le implicazioni psicologiche e sociali.
  • [10] The Social Dilemma, Id.
  • [11] G. Bateson, Mind and nature : a necessary unity, Dutton, New York 1979, trad. it. G. Longo, Mente e natura : un’unità necessaria, Adelphi, Milano 1984
  • [12] The Matrix 1999 diretto dai fratelli L. e L. Wachowski (USA, Warner Bros 1999)
  • [13] The Social Dilemma, cit.
  • [14] Mia figlia mi ha spiegato a cosa servono queste lampade circolari, alcune bianche altre variopinte, montate su un’asta, che si affacciano sempre più spesso alle vetrine degli empori e di cui non capivo la crescente diffusione. Che strane lampade mi dicevo!. Non avevo notato al centro di esse l’aggancio per fissare lo smartphone. Servono a illuminare adeguatamente le videoriprese perché assumano colori squillanti adatti alla rete. Gli skaters ormai vanno sempre in coppia: uno fa i salti e l’altro lo riprende, munito di cavalletto e videocamera
  • [15] K. M. Dalton, Their Brains on Google: How Digital Technologies Are Altering the Millennial Generation’s Brain and Impacting Legal Education, 16 SMU Sci. & Tech. L. Rev. 409 (2013)
  • [16] Si veda ad esempio A. Porion, X. Aparicio, O. Megalakaki, . Robert, T. Baccino, The impact of paper-based versus computerized presentation on text comprehension and memorization, Computers in Human Behavior, Volume 54, 2016, pp. 569-576
  • [17] ad esempio si veda A. Baricco, I “barbari” : saggio sulla mutazione, Fandango, Roma 2006
  • [18] la differenza con le emoticon e emoji è che queste ultime sono piccole immagini, mentre le emoticon sono quelle fatte con i caratteri e la punteggiatura.
  • [19] G Mark, Y Wang, M Niiy, Stress and multitasking in everyday college life: an empirical study of online activity, Proceedings of the SIGCHI conference on human factors in computing systems, April 2014 pp. 41–50
  • [20] Le invasioni barbariche diretto da D. Arcand (Canada, Francia 2003)
  • [21]I Barbari, op.cit.
  • [22] Il disco di Edoardo Bennato “Sono solo canzonette” esce 1980, mentre nel 1983 viene pubblicato un libro di Dan Kiley intitolato “The Peter Pan Syndrome”
  • [23] M. Serra, Gli sdraiati, Feltrinelli, Milano 2013
  • [24]I Barbari, op.cit.
  • [25] educare dal latino ex-ducere tirare fuori
  • [26] O. Reboul, La philosophie de l’éducation, Paris 1971, trad. it L. Marinese, Filosofia dell’educazione, Armando, Roma 1972, p.22
  • [27] P. Paoletti, Crescere nell’eccellenza, Armando, Roma 2007, p. 60
  • [28] Maestro deriva da magister che a sua volta deriva da major, più grande, maggiore. Il maestro è maggiore all’allievo in quanto padroneggia saperi, tecniche e procedure che l’allievo non padroneggia ancora. Allievo, colui che deve essere allevato, che si deve ad levare, crescere; crescere nelle proprie capacità e conoscenze.
  • [29]tratto da G. Mollo, «L’arte dell’educazione» in Linee di pedagogia generale, Morlacchi, Perugia 2005, pp. 57-60
  • [30] P. Paoletti, A. Selvaggio, Mediazione. Quaderni di pedagogia per il terzo millennio, 3P Editore, Perugia 2011
  • [31] La Pedagogia per il Terzo Millennio è un sistema pedagogico per l’apprendimento permanente, basato sulle più recenti scoperte neuroscientifiche, sviluppato dalla Fondazione Patrizio Paoletti per lo Sviluppo e la Comunicazione. Si veda ad esempio il testo Crescere nell’eccellenza op.cit.
  • [32]Crescere nell’eccellenza, cit.
  • [33] Ibidem p. 99 e seguenti
  • [34] per una indagine del ruolo della passione nell’insegnamento si veda ad esempio M. Recalcati, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Einaudi, Torino 2014
  • [35] l’asimmetria pedagogica non va intesa in senso rigido: “da un lato, ogni educatore può e deve avere a sua volta col proprio educatore un rapporto altrettanto diretto di quello che ha con il proprio educando. In secondo luogo, l’educando stesso, con la sua semplice presenza carica di “domande” verso la vita, costituisce un ulteriore fattore educativo per l’educatore stesso.” , Crescere nell’eccellenza cit. p. 60
  • [36] D. Goleman, Emotional Intelligence, Bantam Books, New York 2005, trad. it. I. Blum, B. Lotti, Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 2014
  • [37] può un robot essere madre? si veda il film di fantascienza I Am Mother diretto da G. Sputore (Netflix 2019)
  • [38] Crescere nell’eccellenza. cit., p. 61
  • [39]In questo contributo ho volutamente evitato il termine competenze, che non deriva dall’ambito pedagogico bensì da quello produttivo nell’ottica della misura della produttività. Si veda al riguardo C. Raimo Tutti i banchi sono uguali, Einaudi, Torino 2017
  • [40] Asoka (imperatore dei Maurya), Sesto editto su roccia, sec. III a.C. tratto da G. Ceronetti Tra pensieri Adelphi, Milano 1994
  • [41] P. Paoletti, 21minuti. I saperi dell’eccellenza. Le idee salveranno l’Europa, Edizioni 3P, Perugia, 2011
  • [42] Richard Feynman (New York, 11 maggio 1918 – Los Angeles, 15 febbraio 1988), premio Nobel per la Fisica 1965
  • [43] E. Morin, La tete bien faite, repenser la reforme, Seuil, Paris 1999, trad. it. S. Lazzari La “testa ben fatta” : riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, R. Cortina, Milano 2000
  • [44] dal latino cum-prehendere, prendere con sé
  • [45] H. Gardner, Verità, bellezza e bontà. Educare alle virtù nel ventunesimo secolo, Feltrinelli, Milano 2011
  • [46]tratto da un’intervista del 2000 di F. Alfieri (2000) a H. Gardner (http://giacomoleopardi.provincia.ve... URL consultato il 9/2/2021)
  • [47]Non si intende qui sostenere che bene, bello, vero e giusto siano intesi allo stesso modo in ogni epoca o in ogni luogo, ma piuttosto che la natura umana si confronta in ogni epoca e in ogni luogo con queste dimensioni.
  • [48]21 minuti. cit.
  • [49] Id.
  • [50] ad esempio si legga P. Dominici La società iperconnessa e ipercomplessa e l’illusione della cittadinanza, ilsole24ore 2018/12/14
  • [51] si pensi alla scena iniziale del film 2001 Odissea nello spazio, diretto da S.Kubrick (USA, Gran Bretagna, 1968)
  • [52] Mente e natura, cit.
  • [53] M. Cini, Un paradiso perduto. Dall’universo delle leggi naturali al mondo dei processi evolutivi, Feltrinelli, Milano 1994
  • [54] T. Buzan, The Mind map book : unlock your creativity, boost your memory, change your life, Pearson, New York 2010
  • [55] Crescere nell’eccellenza, cit., pp. 141-144
  • [56] P. Paoletti L’intelligenza del cuore, Comprendere le emozioni per realizzare i nostri sogni, Mondadori, Milano 2019, p. 95
  • [57] Crescere nell’eccellenza, cit.
  • [58] Slogan di sensibilizzazione e titolo di un ciclo di convegni promossi dalla Fondazione Patrizio Paoletti per lo Sviluppo e la comunicazione
  • [59] Crescere nell’eccellenza, cit. , p. 46

Note

[1] Giampiero Binda detto Gip è un bambino teledipendente che un giorno viene risucchiato nel televisore senza poterne uscire, tramutato in un segnale elettronico. Il racconto fu pubblicato per la prima volta nel 1962.

[2] G. Debord La Société du Spectacle 1967 Buchet Chastel, Paris 1967, trad. it. di F. Vasarri, P. Salvadori, Commentari sulla società dello spettacolo e La società dello spettacolo, SugarCo, Milano 1990

[3] Anabel Quan-Haase e Barry Wellman

[4] D.A. Moses, M.K. Leonard, J.G, Makin,.ì et al. Real-time decoding of question-and-answer speech dialogue using human cortical activity. Natu Commun 10, 3096 (2019).

[5] National Security Agency

[6] S. Zuboff, The age of surveillance capitalism : the fight for a human future at the new frontier of power, PublicAffairs, New York 2018, trad. it. P. Bassotti, Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Luiss, Roma 2019

[7] M. Kosinski, Facial recognition technology can expose political orientation from naturalistic facial images, Sci Rep 11, 100 (2021)

[8] The Social Dilemma, diretto da J. Orlowski (2020, Netflix) in cui personaggi chiave della creazione delle tecnologie di intelligenza artificiale utilizzate dalle principali piattaforme online, ne spiegano il funzionamento e ne delineano le implicazioni psicologiche e sociali.

[9] G. Bateson, Mind and nature : a necessary unity, Dutton, New York 1979, trad. it. G. Longo, Mente e natura : un’unità necessaria, Adelphi, Milano 1984

[10] The Matrix 1999 diretto dai fratelli L. e L. Wachowski (USA, Warner Bros 1999)

[11] K. M. Dalton, Their Brains on Google: How Digital Technologies Are Altering the Millennial Generation’s Brain and Impacting Legal Education, 16 SMU Sci. & Tech. L. Rev. 409 (2013)

[12] Si veda ad esempio A. Porion, X. Aparicio, O. Megalakaki, . Robert, T. Baccino, The impact of paper-based versus computerized presentation on text comprehension and memorization, Computers in Human Behavior, Volume 54, 2016, pp. 569-576

[13] G Mark, Y Wang, M Niiy, Stress and multitasking in everyday college life: an empirical study of online activity, Proceedings of the SIGCHI conference on human factors in computing systems, April 2014 pp. 41–50

[14] Le invasioni barbariche diretto da D. Arcand (Canada, Francia 2003)

[15] ad esempio si veda A. Baricco, I “barbari” : saggio sulla mutazione, Fandango, Roma 2006

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